lunedì 12 gennaio 2009

l'uomo ideale..copiato da Pulsatilla, sottoscrivo!

"Mi sono spremuta il cervello per cercare di capire che tipo di uomo mi serve. Il libro «The Secret» dice che se visualizzi una cosa la ottieni. Ok, visualizziamo. Dopo gli sconvenienti bilanci 2008 (quanti uomini ho avuto? Enne. Con la metà di questi ci ho fatto robba hot. Con la metà di questi altri ci sono andata a letto. Con la metà di questi altri altri ho avuto una storia. Con la metà di questi altri altri ho avuto una storia davvero storia. La metà di questi li ho amati. Insomma, facendovela breve il risultato è 0,888) sono arrivata a delle conclusioni. All’età di sedici anni avevo già fatto la lista con le caratteristiche che un uomo deve avere. Essendo una sedicenne tracotante e fiduciosa nelle risorse del pianeta, l’elenco constava di 137 punti e conteneva formule arabesche come «deve possedere una decorosa ars dicendi» e «deve convalidarmi come essere umano ed esprimere un desiderio di condivisione, non di condizionamento». La dimostrazione che dieci anni non sono trascorsi invano si vede dal fatto che la lista attuale è ridotta a dieci punti sintetici. Illustro.

- Al primo punto, quello sull’estetica, c’è un campo vuoto. Dell’aspetto fisico non me ne batte più un picchio. Nella lista dei 137 punti ho versato litri di inchiostro per descrivere minutamente il guizzo ideale del dorsale, il pelo pubico che degrada verso l’ombelico, il gluteo riaceo, la folta chioma à la Agamennone che dirama dalla testa intelligentissima del novello Rasputin. Come se fino a oggi non fosse bastato guardarmi intorno per ridimensionare di molto le aspettative, è arrivato il carnevale di Facebook a mettere la pietra tombale su qualsiasi aspirazione. La carrellata di quelli per cui all’epoca mi strappavo i capelli è oggi una rassegna di stempiati, pingui, bolsi trentenni con gli occhiali; senza contare che la mia relazione più longeva è stata con un uomo di Neanderthal di cento chili con la panza a cocomero a cui depilavo la schiena con lo sfumabarba. Direi che nell’economia di un amore, l’aspetto fisico ha la stessa importanza dei pomelli delle porte quando devi scegliere se comprare una casa. Ok, ma se proprio devo esprimere una preferenza lo voglio 1,78, smilzo e tonico. Grazie.

- Sincerità. Non tanto quella da interrogatorio («dove sei stato?», «al bar…», «buCiardo, eri con quella bottana»), quanto la limpidezza nel piccolo. Niente sofismi, niente trucchetti, niente nascondersi dietro un dito, niente intortamenti né piaggeria. Pizza o patatine? Patatine. Sicuro? Sì. E mi ami ancora? Non lo so, ci penso e te lo dico. Sapere che quella è la verità è rilassante. Se alla sincerità si associa anche la sintesi abbiamo fatto bingo.

- Calma. No panic. No caos. No «porco cane dove hai messo le chiavi della macchina», no «sono in ritardo», no bestemmie, no ira, no entropia, no perdere le staffe, no sportellino del cruscotto che lo apri e ti cade tutta la discografia dei Pooh sui piedi. Chiaro, no? Grazie.

- Soldi. Quelli necessari per poterci concedere viaggi, cinema, dischi, libri, cene fuori, vestiti e tutto ciò che serve a stare meglio (dice il saggio: i soldi non danno la felicità ma calmano tanto i nervi). Basta con quel giubbottino bucato, comprato alla fiera di Santa Caterina a quattordicimila lire, rammendato non so quante volte, che quando te lo infili devi stare attento a mettere la mano nella manica e non nel buco. Grazie.

- Soddisfazione. Uno che sia bravo nel suo lavoro a detta mia, sua e di tutti, e che sia felice di quello che fa. Immagino che questo scremi dalla piazza agenti immobiliari, bancari, assicuratori e venditori di trinciapolli. A meno che non esista davvero il bancario entusiasta del suo lavoro («cara, oggi alla cassa di risparmio ho fatto tre mutui e due giroconti! Mi sento proprio un ganzo»??). Sicuramente l’ultimo che mi voglio accollare è l’artista frustrato. Un NO categorico a: aspiranti scrittori («non preoccuparti, ti presento io a un editore»), pittori falliti («non scoraggiarti, questa mela morta con putto triste è bellissima, vedrai che te la comprano»), chitarristi mediocri («stai bene con la frangetta, ma perché non mettete su un gruppo?»), registi incompresi («non prendertela, non sono ancora pronti per il tuo film…»). Piuttosto mi metto col venditore di ravanelli o vado alla banca del seme.

- Cultura di base. Non è richiesto annunciare il pranzo in endecasillabi o recitare tutto Apollonio Rodio passando l’aspirapolvere. Però magari vedergli comprare un giornale almeno una volta nella vita – la Gazzetta dello Sport non vale – e vederlo al corrente del fatto che esistono anche libri non scritti da Giorgio Faletti può far piacere.

- Niente sardi. Ci ho pensato moltissimo e questa è la mia risposta definitiva.

- Sofferenza. Probabilmente è la cosa più importante. Deve aver sofferto. Molto, molto, molto, almeno quanto me. La sofferenza mi aggancia. Chiaramente deve anche aver fatto le crosticine sulle piaghe. Le ferite aperte macchiano i tappeti.

- No fanatici del pallone. Tra me e un tifoso non c’è storia. Posto che a me del calcio non me ne frega un cazzo sbrodolone (ho capito qual è il mio problema, che il campo è troppo lungo: ovvero se fanno un totale vedo i giocatori piccoli piccoli e non riesco a distinguere chi sta facendo cosa; se vanno sul dettaglio non vedo cosa sta succedendo nell’altra metà campo e m’innervosisco; peggio ancora i piani americani perché mi costringono a subire l’analfabetismo piteco-labiale dei giocatori [«vaffangulo», «cornùto», «tua sorella batte»], pertanto preferisco di gran lunga seguire il nuoto sincronizzato, il basket o la pallavolo) dico ok, passi la coppa del mondo, perfino gli europei, passi pure la ritualità di andare allo stadio quando c’è il derby, la catarsi il cameratismo e tutto, ma che metà del mio divano sia occupata da uno gnu che ha fatto a coriandoli i biglietti del teatro per urlare contro il monitor… Per cosa, poi? Per l’amichevole Chievo-Real Madrid? No, impossibile. Potrei uccidere per molto meno.

- Sesso. Soggetti da evitare: 1. Quello che si stende a palle all’aria e facendoti l’occhiolino ti dice: «usami» 2. Quello che lo devi prendere per mano, portare a letto, stendere, coccolare, psicanalizzare, tu vali, noi valiamo, essi valgono, ti desidero, spogliare, convincere, lubrificare e comunque no perché è tardi e domani mattina si deve alzare presto 3. Quello che ha visto troppi film con Jenna Jameson e ti sussurra cose porche nell’orecchio con l’accento del subappennino e ti sculaccia ma c’ha una mira di merda e ti prende i reni 4. Quello che ti sfiora e basta, tu a stento senti qualcosa e dopo venti minuti ti dice con un leggiadro soffio «vuoi venire sopra?» (ha letto tutto su Sesso: a qualcuno piace dolce, il box sotto a Fai volare il tuo metabolismo con il germe di grano) 5. Quello che prima di portarti a letto ti continua a mandare per settimane fiori e bigliettini fino a trasformare casa tua in una camera ardente 6. Quello olimpico, in posa plastica, che pare il profilo di Efesto sulla moneta da cinquanta lire, che t’afferra le caviglie con veemenza decisa da ferrotranviere e ti guida le gambe in varie direzioni (occhio che ci scappa l'incidente) 7. Quello che con il movimento sicuro, costante e pendolare del bacino protratto per un’ora e mezza pensa di starti facendo un gran servizio. Il che può anche essere vero, ma non se alle tue spalle c’è l’amichevole Chievo-Real Madrid. "

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